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La politica dei banchetti

Caterina de Medici è stata una figura femminile d’eccellenza: politica scaltra e capace, spregiudicata, determinata, in grado di gestire e sfruttare a suo favore  i veleni della corte di Francia.
Quando arriva a Marsiglia per sposare Enrico II d’Orléans, ragazzo di bell’aspetto suo coetaneo,  è una quattordicenne tracagnotta, bruttina, pallida e con i caratteristici occhi a palla  della famiglia Medici; i francesi prendono a chiamarla la  grassa bottegaia fiorentina.
Il futuro re di Francia rimane molto deluso dal suo aspetto, ma la sposa ugualmente, per motivi di stato; per dieci anni però l’attesa di un erede resta vana, e più di una volta Caterina rischia di essere rispedita in patria. Per questo la bottegaia dotata di vorace appetito, ma anche di gusti molto raffinati, ricorre a superstizioni, magia e arte culinaria per costruire il suo successo.
Grazie ai cuochi e ai pasticceri che l’avevano seguita dalla corte fiorentina, la regina influenza l’evoluzione della rozza ma sontuosa cucina francese; presenta ricette ricche quanto ghiotte e introduce, udite udite, l’uso di posate come la forchetta.
Pierre de Brantôme nella Vie des femmes galantes  scrive che  i maestri cucinieri  toscani sapevano molto bene accoppiare le leccornie alla lubricità e a quanto e più la scienza medica conoscesse

L’origine della besciamella, come pure di  altre salse  del periodo medioevale e rinascimentale che allora erano dette sapori, non è francese come il suo nome può far credere. Il maggiordomo di Luigi XIV , il marchese L. de Bechamel agli inizi del ‘700 battezza col suo nome, una salsa che già era descritta nei libri di cucina italiana del Rinascimento. Nel Libro della cocina per esempio si parla di biancomangiare, e sembra che sia stata proprio Caterina de’ Medici a diffondere in Francia la preparazione di questa salsa, ottima per legare  gli ingredienti di tanti mangiar bianchi allora molto in voga.
Pare che Caterina ritenesse afrodisiaci il cardo, lo scalogno, le zucchine, il sedano, i funghi, le fave, le  cipolle, ma soprattutto i carciofi cotti nel vino; nei lunghi anni  in cui non riuscì a concepire, per difendersi dai malevoli influssi portatori di sterilità, per quanto ridicolizzata  da tutta  la corte, portava appeso al collo un sacchetto colmo di ceneri di rana e coglioni di maiale; ma forse funzionò perché poi Caterina partorì nove figli , di cui tre futuri re di Francia e una regina di Spagna. Reggente al posto del giovanissimo figlio Carlo IX, diresse e gestì con rara abilità gli affari di stato ( e suoi, e della  famiglia…) organizzando succulenti banchetti dai costi spropositati.

Le cronache del tempo descrivono un pranzo di gala, dato in suo onore dalla città di Parigi nel 1549; erano previsti esclusivamente cibi in quantità variabile ma sempre divisibili per tre, il numero prediletto dalla superstiziosa regina:

33 arrosti di capriolo, 33 lepri,

6 maiali, 66 galline da brodo, 66 fagiani,

3 staia di fagioli, 3 staia di piselli e

12 dozzine di carciofi.

Non erano ancora giorni di rigore e di sobrietà, e i poveri anche allora vivevano lontani dalle corti… Floriana

 
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Pubblicato da su ottobre 20, 2012 in Scampoli e Ritagli

 

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La sete dei Grandi

  Un alone di sacralità avvolge da sempre il vino e il suo mondo: Orazio raccomanda agli amici di dare la precedenza, nel piantare gli alberi, alla sacra vite. Cristo trasforma il vino nel suo sangue; e ancora, siccome  stimola (a volte anche troppo) la fantasia, il vino è sempre stato buon amico degli artisti.

Prima di cominciare a dipingere il duomo di Orvieto, il Pinturicchio fece includere nel contratto vino a volontà.
Carducci per la collaborazione alla Cronaca bizantina  fu pagato con barili di vernaccia. Quando andò a Desenzano del Garda, commissario d’esami al Liceo, fu murata in un’osteria una lapide che recitava:
Qui Giosue Carducci, nei mesi di luglio e ottobre, degli anni 1882-85, spesso libero da scocciatori, per sedare l’ardore dello spirito, per sciogliere l’amaro degli affanni, per temprare il vigore e la grazia, ilare e di buon umore attingeva dai vini vigore e grazia.
Sul Canal Grande, Lord Byron in cerca d’ ispirazione, si rivolgeva ai vini dei colli Euganei prima che al cognac.

Sempre a Venezia, Hamingway la sera si ritirava in camera a scrivere, in compagnia di una boccetta d’inchiostro e di sei bottiglie di Valpolicella.  Al mattino, erano vuote, tutt’e sette.

Winston Churchill soleva ripetere che non si può fare un discorso con acqua fresca  ma, prima di ogni discorso, preferiva si sciacquarsi  la bocca con whisky.

Erodoto racconta che gli antichi persiani riponevano tale  fiducia nel vino da affrontare alticci anche le più gravi questioni di governo; il giorno dopo, schiarita la mente, e smaltita la sbornia, riesaminavano le decisioni prese e, se le trovavano appropriate, le mettevano in esecuzione.
Beethoven, che aveva un papà alcolizzato e una mamma tisica, ereditò la tara paterna e per quanto il medico gli proibisse il vino e i cibi pesanti, non rinunciò mai a uova e gorgonzola, generosamente innaffiati col vino della Mosella.

Col vino gli antichi guerrieri, come pure i lottatori, purificavano le ferite;  Etruschi e  Romani bevevano vino anche  durante i banchetti funebri; oggi  eventi e ricorrenze, in famiglia o con gli amici, incontri ufficiali, transazioni d’affari, acquisti importanti, intimi tete à  tete,  quasi tutto, quasi sempre viene bagnato con un calice perché il vino consola, rilassa, distrae, genera allegria….

Quanto all’età in cui cominciare a bere, ricordiamo il consiglio di Platone: diciotto anni. Come per il diritto di votare: come il voto, il vino va usato con giudizio, anche da chi diciottenne non è più da un pezzo ma, ad essere astemi, si rinuncia comunque a  qualche cosa e..non conviene.

E allora:prosit!  Floriana

 
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Pubblicato da su settembre 29, 2012 in Scampoli e Ritagli

 

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Mangiare, meno, con la musica

Ludovico secondo Marchese di Mantova è storicamente noto  grazie ad un’intelligente politica d’apertura e di notevoli relazioni.
Molto sensibile ad ogni forma di arte fu grande mecenate e ospitò  alla sua corte molti  artisti fra i quali ricordiamo Andrea Mantegna, che tra le altre opere,  realizzò per lui il famoso affresco Camera degli Sposi.
Ma Ludovico, non fu solo amante del bello; era  anche molto, troppo, incline ai piaceri della tavola, tanto da arrivare a soffrire di una pericolosa obesità.
Dopo diversi tentativi di dieta, l’umanista Vittorino da Feltre decise di curarlo abbinando ad un rigoroso regime alimentare qualche originale  accorgimento;  fra questi, grande rilievo aveva   l’obbligo di ascoltare la musica durante i pasti. Pare proprio che il Marchese Ludovico, rapito dalle melodie, dimenticasse quasi  di mangiare, masticasse a lungo e lentamente e così  rendesse particolarmente  efficace il regime alimentare.
Va ricordato che l’arte culinaria mantovana è definita di principi e di popolo; segnaliamo  uno dei piatti più rappresentativi , l’agnolino, che si distingue dal tortellino bolognese non solo per i componenti del ripieno ma anche per la forma.

In un tegame sciogliere un po’ di burro e cuocere la polpa di manzo macinata, con  cipolla e vino bianco.
In un’altra padella sempre con un po’ di, burro, far rosolare cubetti di pancetta e salamella di suino. Unire poi le due preparazioni, legandole con uova, parmigiano, noce moscata e pepe e  far riposare l’impasto per dodici ore.
Preparare una sfoglia e suddividerla in quadretti da farcire con il composto.
Per confezionare gli agnolini, ripiegare la sfoglia a triangolo, unire i bordi, congiungere le estremità fino a formare un anello, e sigillare con una forchetta.
Gli agnolini possono  essere serviti in brodo con formaggio grattugiato, o conditi con burro fuso e grana; comunque ottimi, ma da gustare raramente e con moderazione…. Floriana

 
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Pubblicato da su settembre 6, 2012 in Scampoli e Ritagli

 

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Chi aglio non mangia, d’aglio non puzza…

 L’aglio, è stato oggetto, in tempi più o meno antichi, di acute ostilità, forse anche un po’ motivate

“Se alcuno mai con empia mano il vecchio padre strozzasse, l’aglio mangi, peggior della cicuta! Oh stomaco forte dei mietitori! Che è il veleno che mi strazia i visceri? Vipèreo sangue, forse, cotto in quest’erbe m’ha tradito? O il perfido cibo ammannì Canidia? Quando Medea, fra tutti gli Argonauti splendido, amò Giasone, con questo l’unse, allor ch’ei volle cingere il giogo ignoto ai tori; e con questo i doni imbevve e spense Glauco e a vol fuggì coi draghi. Non mai gravò sì afosa la canicola su l’assetata Puglia, né più bruciante il fatal dono ad Ercole arse il possente dorso. Ma se tal cibo, o Mecenate lepido, tu gusti ancor, la bella ai baci tuoi le mani opponga, e giaccia là, su l’estrema sponda“. Così scrive Orazio Flacco

In controtendenza l’egiziano Ermete Trismegisto, che  evidenzia le tante proprietà benefiche dell’aglio e scrive che i Faraoni lo elargivano in quantità agli schiavi che costruivano le Piramidi  per preservarli da malattie e infezioni intestinali, ma , soprattutto, perché si rinforzassero e quindi aumentasse  il rendimento. Erodoto riferisce che sulla Piramide di Cheope, tra le spese sostenute per la costruzione, era riportata, in geroglifici, anche quella, ingente, per l’approvvigionamento di aglio.

Forse perché protegge da molti disturbi, l’aglio è stato usato, appeso a porte e finestre, per tenere lontano vampiri, streghe e spiriti maligni, o cucito in un sacchetto e appeso al collo come una collana, contro i vermi e le malattie infettive.
Non c’è dubbio che si tratta di un concentrato di sostanze dalle tante proprietà terapeutiche, che vanno dall’azione antisettica all’ effetto antipertensivo, da un’azione balsamica all’ effetto digestivo;  pare addirittura che sia anche un ottimo afrodisiaco, soprattutto per i maschi.

Come conciliare allora l’effetto virilizzante con il temibile odore  che regala all’alito? Ecco a voi  qualche consiglio:
masticare lentamente qualche grano di caffè
masticare qualche seme di anice, cumino, o cardamomo
mangiare qualche cucchiaio di miele o, meglio ancora,

Mangiare aglio in compagnia del partner …per  fondere gli umori e allontanare i pudori !

Teodorico il re ostrogoto che rese Ravenna capitale dell’Impero Romano d’Occidente, era alto e possente; aveva capelli lunghi, biondi e ricci; collo taurino e baffi così folti che ogni mattina li sfoltiva  con un rasoio speciale.  Era cresciuto nella raffinata Bisanzio, parlava il greco, era educato e galante, ma le sue abitudini culinarie erano davvero robuste. Era goloso di cinghiale,  lenticchie e vino, ma  la sua passione era l’ aglio, e nessuno osava fargli notare l’alito pesante, forse temevano reazioni poco educate e galanti, ancorché virili….

E anche lui, come molti potenti, utilizzò la tavola per scopi politici; noto  è il pranzo di riconciliazione che organizzò con i Goti vinti, nel corso del quale strozzò personalmente Odoacre e i suoi familiari… L’ appetito di Teodorico, come lo stomaco, rimase robusto per tutta la vita; a settant’anni consumava una frugale colazione di frutta fresca e carni arrostite, ma a pranzo esigeva portate abbondanti quanto numerose servite su  piatti d’argento e tovaglia (una rara finezza per l’epoca…). Ecco la sua ricetta preferita, riportata da un anonimo contemporaneo:

Agliata di noci
“Con quelle secche se ne fa una buona salsa che agliata si appella, perciò che in farla vi va d’aglio molto. Prima si pigliano i più sani e i più bianchi spicchi delle noci e quella quantità che l’ uom vuole, e si pestano in un mortaio di pietra nello quale sian pestati due tre spicchi d’aglio.
Si prendon poscia molliche di pane duro bagnato nel brodo di carne e si uniscono. Il tutto ben pestato si liquefa con ancora brodo e si aggiunge pepe franto. S’usa di mangiar tal salsa calda con la carne di porco o di cinghiale”.

Floriana

 
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Pubblicato da su giugno 17, 2012 in Scampoli e Ritagli

 

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Vecchio, pazzo Carnevale

Carnevale vecchio e pazzo
S’è venduto il materasso
Per comprare pane, vino
Tarallucci e cotechino
E mangiando a crepapelle
La montagna di frittelle
Gli è cresciuto un gran pancione
Che assomiglia ad un pallone
Beve, beve all’improvviso
Gli diventa rosso il viso
Poi gli scoppia anche la pancia
Mentre ancora mangia, mangia
Così muore il Carnevale
E gli faremo il funerale
Dalla polvere eri nato
E di polvere è tornato.
(Gabriele D’Annunzio)

 
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Pubblicato da su febbraio 20, 2012 in Scampoli e Ritagli

 

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